Relazione Aldo Tollini e Francesco Merlo
Relazione Aldo Tollini e Francesco Merlo
Conference
1.
Parlando di bonsai, non si può trascurare il fatto che esso è una tipica espressione della cultura giapponese. Non solo per gli aspetti intrinseci, ma anche per le sue dimensioni. In altri termini, il fatto che il bonsai sia obiettivamente una forma estremamente ridotta di alberi che in natura sono anche molto grandi fa parte della tradizione giapponese di apprezzare le cose piccole.
Nella cultura giapponese infatti troviamo molta evidenza dell’amore per ciò che è piccolo, minuto, grazioso. Potremmo definire la cultura giapponese “la cultura del piccolo”.
Young NG Lee, ha scritto un libro in lingua inglese dal titolo The Compact Culture. The Japanese Tradition of “Smaller is Better”. Un autore coreano, I Orion, ha scritto in giapponese un libro dal titolo 「縮み」志向の日本人 (chijimi: shikō no nihonjin) que significa: “I giapponesi con la propensione alla contrazione”.
E’ interessante il fatto che costoro sono stranieri che osservando la cultura giapponese riscontrano questa particolare tendenza a preferire forme di dimensioni ridotte. Da parte giapponese c’è: Ikkō Tanaka, Tsune Sesoko, The Compact Culture: The Ethos of Japanese Life.
In effetti, se pensiamo a molte delle forme principali della cultura giapponese antica, ma anche moderna, o anche aspetti della vita quotidiana di oggi, riscontriamo che la preferenza per ciò che è piccolo ha un ruolo importante, molto più che nella cultura occidentale.
Gli studiosi sostengono che questo sia dovuto al fatto che il territorio del paese è molto ristretto e montagnoso e la popolazione numerosa, quindi la mancanza di spazio ha sviluppato la tendenza preferire ciò che occupa poco spazio. Questo è certamente una spiegazione convincente, sebbene non del tutto esauriente. Io personalmente ritengo che accanto a questa spiegazione dovremmo anche considerare altri fattori, come per esempio l’amore dei giapponesi per le cose graziose e minute, che in grande quantità vengono prodotte dall’artigianato tradizionale. E’ strano pensare che l’influenza americana, notoriamente portata per ciò che è grande e imponente, in questo caso abbia avuto poca influenza in questo campo, mentre ne ha avuta moltissima in altri settori. Ciò è forse dovuto al fatto che la “cultura del piccolo” è talmente radicata nell’animo giapponese che nulla può scalfirla.
Vediamo alcuni esempi di questa “cultura del piccolo”.
Per prima cosa vengono in mente gli haiku. Poesie di sole 17 sillabe secondo la scansione 5-7-5-7-7.
Sono poesie che con la brevità guadagnano in immediatezza e profondità. La concisione della forma intensifica l’impatto sul lettore o l’ascoltatore poiché sono dei veri e propri flash che causano una improvvisa e intensa emozione. Se si dilungasse, la poesia perderebbe l’effetto di intesità. Lo haiku è come un concentrato di poesia che esprime tutto in una immagine che crea con poche parole che penetrano profondamente nell’animo umano.
Brevità, concisione, essenzialità aumentano l’intensità emotiva.
kono michi wa
yuku hito nashi ni
aki no kure
Questo cammino
non lo percorre nessuno
crepuscolo d’autunno
kareeda ni
karasu no tomarikeri
aki no kure
Sopra il ramo secco
un corvo si è posato;
sera d’autunno
meigetsu ya
kado ni sashikuru
shio-gashira
Luna d’agosto.
Fino al portone irrompe
la mareggiata
Un’altra espressione della cultura del piccolo sono i netsukè, e altri oggetti di piccole dimensioni, finemente lavorati.
Si tratta di oggetti lavorati con grande precisione e cura fino nei minimi dettagli. Gli artigiani giapponesi, con la loro pazienza e abilità sono maestri nel creare questi preziosi piccoli oggetti.
Nel Giappone moderno, tutti sanno che questo paese è stato ed è all’avanguardia della produzione di apparati elettronici di dimensioni molto compatte: per esempio ricordo le prime calcolatrici tascabili, ecc. Il tentativo di ridurre e compattare gli oggetti, in modo che potessero essere facilmente trasportati, a allo stesso tempo di alleggerirli e renderli più potenti, è sempre stata una priorità della ricerca e della produzione nipponica, con notevoli risultati.
In Giappone si dice: “きめ細かな技術に優れている日本人” (kimekomakana gijutsu ni sugurete iru nihonjin) che significa che: “i giapponesi sono particolarmente abili nella tecnologia del minuto e preciso”.
Vorrei citare un esempio è particolare, gli alberghi con mini-stanze. I capsule hotel con stanze dette “capsule” perche sono piccolissime, permettendo solo all’ospite di dormire disteso. Ovviamente seppur piccole, queste stanze sono dotate di una impressionante serie di gadgets e comodità.
Infine, ecco un’immagine di una mini-lattina di birra, esattamente uguale a quelle normali, ma di dimensioni molte ridotte, destinate a coloro che vogliono bere poco.
Non tutti sanno che esistono bonsai molto piccoli:
I più piccoli sono chiamati bonsai keshitsubu 芥子粒盆栽 o, “semi si papavero”
Poi seguono i bonsai mame (fagiolo) 豆盆栽 fino alle dimensioni di circa 10 centimetri.
Infine, i bonsai shōhin (cosa piccola) 小品盆栽 di circa15 centímetri.
TIPI | dimensioni | ||
cm | |||
piccolissimo | Mame | Keshi-tsubu | Fino a 2.5 |
Shito | 2.5 – 7.5 | ||
piccolo | Shohin | Gafu | 13 – 20 |
Komono | Fino a 18 | ||
Myabi | 15–25 | ||
medio | Kifu | Katade-mochi | Fino a 40 |
Da medio a grande | Chu/Chuhin | 40–60 | |
grande | Dai/Daiza | Omono | Fino a 120 |
Bonju | oltre 100 |
Tra i giardini, in Giappone è famoso il tipo shukkeien 縮景園. Shukkeien letteralmente significa “giardino che mostra una vista ridotta”, che è una definizione che rende bene questo tipo di giardino. Valli, montagne e boschi sono rappresentati in miniatura nel paesaggio del giardino. Con una coltivazione molto accurata, questo giardino imita una varietà di formazioni naturali e di viste panoramiche. Tutto il giardino è connesso attraverso un persorso che si snoda attorno a uno stagno che si trova al centro. Il percorso passa attraverso tutti i differenti scenari miniaturizzati. Eccone un esempio:
Il paesaggio contratto (shukkei), è una sorta di giardino che offere una versione in scala ridotta di un paesaggio naturale famoso. E’ una espressione ancor più attiva e diretta del rpincipio di fare della natura una nostra proprietà. Questo tipo di giardini erano molto amati dai signori feudali del periodo Edo (1600-1868).
Nel periodo Asuka (552-646) e Nara (710-794) i giardini erano chiamati shima (isole). Quelli antichi erano versioni ridotte di paesaggi naturali del mare con viste di isole. Di fatto, questi primitivi giardini consistevano in uno stagno con un’isola in mezzo.
La fabbricazione di scenari ridotti porta luoghi famosi nel proprio giardino.
Nel Sakuteiki si dice: “Immaginate tutti i luoghi pittoreschi nelle varie province. Il più notevole di essi può diventare votro. I migliori spettacoli devono essere imitati nel giardino in modo che diventi più intimo per noi.”
Il disegnatore di giardini Tessen Sōki (in Kasenzui no fu) disso: “La torre a cinque cuspidi è molto elevata, sebbene che non sia più alta di un formicaio. L’oceano si spande vasto, sebbene non sia più grande di un buco dove vive una rana. Qualsiasi cosa può essere fatta per sembrare grande pur essendo piccola. Dentro i limiti di un giardino, il vicino e il lontano spariscono. Mille chilometri si riducono a un solo piede.”
I giardini classici di precisione geometrica, come quello di Versailles, mostrano come un ordine razionale umano si impone alla natura irrazionale e disordinata. L’approccio giapponese di controllare la natura non è per convertirla in qualcosa di diverso, ma solo di renderla più piccola. In breve, potremmo dire che la natura nel giardino occidentale è fatto dall’uomo, mentre, la natura nei giardini giapponesi è fatta per l’uomo.
Sebbene gli obiettivi e i metodi siano diversi, i giapponesi sono molto simili agli europei perché entrambi cercano di soggiogare la natura e farla propria.
Il bonseki 盆石è l’arte della miniature del paesaggio.Le sue origini sono poco chiare, ma il famoso monaco Zen giapponese Kokan Shiren (1278-1346) attorno al 1300, scrisse un testo dedicato al bonsai, che egli amava molto, intitolato Bonseki no fu (Sonetto del bonseki). Kokan dice che le composizioni bonseki gli permettevano di vivere le stesse sensazioni ricevute nell’allestimento di un giardino di grandi dimensioni, compiendo però uno sforzo fisico molto minore.
Kokan dice che una roccia alta solo pochi centimetri posata su un vassoio di piccole dimensioni può dargli le stesse sensazioni di un panorama naturale di grandi dimensioni poiché l’infinitesimale è identico all’enorme. Per lui, le dimensioni sono una questione del tutto relativa: può esserci un vasto piano su un’ala di8 una mosca e intere nazioni su un corno di una lumaca.
Piccole, anzi volutamente piccolissime sono anche le chashitsu 茶室 cioè le costruzioni molto semplici, quasi delle capanne, circondato da un piccolo giardino, dove si svolge la cha no yu, o “cerimonia del tè”. Qui le dimensioni sono ridottissime e l’ambiente è quanto più scarno possibile. Nulla di superfluo e di ornamentale è presente. Vi sono solo le pareti di legno o di bambù, i tatami sul pavimento, una piccolo focolare che si usa d’inverno per bollire l’acqua (d’estate si una una struttura mobile) e gli utensili indispensabili. In questo ambiente soffuso dell’atmosfera rarefatta di wabi e sabi, gli amanti della Via del tè si riuniscono per gustare la sottile arte del tè.
2.
I giapponesi hanno un’espressione particolare: 簡略の美kanryaku no bi o 省略の美 shōryaku no bi per indicare il bello di ciò che è ridotto. Kanryaku significa: concisione, brevità e shōryaku significa: abbreviazione. Insomma, viene teorizzata la bellezza di quello che è ridotto, conciso, abbreviato, piccolo, per questo producono molti oggetti artistici di dimensioni ridotte.
Nel famoso diario di una dama di corte del XII secolo, Sei no Shōnagon, si dice:
葉のいみじうこまかにちひさきがをかしきなり = Le foglie molto piccole (di un albero) sono molte belle.
E un po’ oltre:
なにもなにも、ちひさきものはみなうつくし = tutte le cose piccole sono belle.
Nel libro The compact culture, Lee dice:
“La nostra tesi, allora, è che vi un aspetto della mente giapponese in forma di potenza immaginativa che cerca di fare le cose più piccole, che idealizza il nano sopra il gigante.Questo ha trovato espressione in molte forme di cultura giapponese. Si vede negli alberi in miniatura di bonsai, e nei giardini rocciosi, dove lo spazio stesso è stato ridotto.Nei tempi moderni, in primo luogo i transistor e ora il personal computer sono la prova della stessa tendenza.”
Ma “piccolo” non significa solo di dimensioni ridotte, ma ha una altra serie di sfumature che interessano la concezione del bello e, ovviamente, rimandano anche al bonsai.
Kanryaku e shōryaku implicano, oltre alle dimensioni, comprende anche concetti come: semplicità, essenzialità, assenza di ciò che non è necessario, compattezza, minutezza, precisione, dettaglio. Quindi il bello in ciò che è piccolo comporta anche che l’oggetto sia elaborato, esteticamente elegante, finemente lavorato.
“Piccolo” soprattutto significa “modesto”, “non appariscente”, “umile”, “non vistoso”: una bellezza non eclatante nè prepotente, che va cercata poiché non colpisce, che va apprezzata con cura e attenzione perché non si mostra da se stessa, ma è schiva. Ci vuole una grande sensibilità estetica e un gusto raffinato per apprezzare ciò che è piccolo.
Il gusto del minuto, del semplice e del non appariscente si sviluppò in Giappone attorno al XV e XVI secolo, inn un perido storico travagliato, ma contemporaneamente un periodo di grande sviluppo culturale. Assieme alla cultura dello Zen, del Tè (cha no yu), il teatro Nō, i giardini, e tutte le altre arti, si affermò la visione estetica detta del wabi, che proponeva un ideale di belelzza centrato sul modesto, il ridotto, il semplice, il silenzio, l’interiorità. “Piccolo”, infatti significa tutten queste cose a cominciare dall’interiorità, per continuare con la profondità. Tornare all’essenziale, al modesto, al piccolo. Quanto bisogno ci sarebbe nella moderna società del XXI secolo di ritrovare quegli ideali!
Il wabi, è un godimento estetico da assaporare in tranquillità, nel silenzio, interiormente. E’ il bello che risuona all’interno dell’animo umano. Così anche nell’apprezzamento di un bonsai. Si pensi, per esempio, alla semplicità e all’intensità di un bonsai di stile bunjin: ciò che è semplice e ridotto è pià intenso e acuto, penetra nell’animo umano più profondamente.
Questa cultura del wabi diede un contributo determinante alla formazione della cultura tradizionale giapponese, di cui anche il bonsai è parte. Nelle chaya o capanne del Tè, dove si svolgeva la cha no yu, nel tokonoma veniva posta una calligrafia, o una composizione floreale, o anche un bonsai.
Il bonsai con la sua dimensione ridotta è la natura che entra nella nostra casa, nella nostra quotidianità e ci sta accanto nella vita di tutti i giorni. Non e’ solo un oggetto di bellezza, ma è di più: e’ la bellezza, la perfezione della natura che ci sta accanto. E solo con le dimensioni ridotte del bonsai che la natura può starci accanto. Il desiderio di non separarsi dalla natura si realizza con il bonsai. Per questo, esso non è solo oggetto di apprezzamento estetico. La sua bellezza è la bellezza di tutta la natura; la sua perfezione e’ quella della natura. Creare un bonsai quindi significa affermare l’amore per la natura.
Solo nella dimensione del piccolo è possibile esprimere il grande: nell’arte del bonsai si dice che un bonsai deve essere piccolo, ma esprimere il grande. In Giappone per il bonsai c’e’ il detto: “keishō sōdai” (形小相大), che vuol dire: “una forma piccola che dà l’impressione di essere grande”. Quindi l’ottimale è di creare una pianta piccola che però dia l’impressione di una molto grande, e per fare questo vi sono alcuni principi e tecniche allo scopo. Il piccolo e il grande sono concetti relativi: quello che importa non sono le misure reali, ma l’impressione che si ha. Vi è però un grande vantaggio nel piccolo: esso è molto più gestibile del grande. Produrre una pianta grande di grande bellezza e perfezione è una impresa molto difficile. Solo nel piccolo si può elaborare la perfezione, che è la perfezione della natura nella sua forma più alta, quasi sempre astratta. Insomma solo nel piccolo si può elaborare la sublimazione della natura (che raramente esiste allo stato naturale). Quella del bonsai è l’idealizzazione della pianta, quindi della natura che rappresenta. Ma sono le sue dimensioni ridotte che permettono di formare una pianta in ogni minimo dettaglio. Il “piccolo” permette la realizzazione della perfezione: è la possibilità di gestire tutti gli elementi a secondo la propria volontà e il proprio ideale. Nelle dimensioni normali della pianta questo è impossibile.
Questo quindi è un’altro vantaggio della “piccolezza” dei bonsai che sono curati nei minimi dettagli.
Potrei dire che il desiderio di giungere all’essenza astratta, all’ideale della bellezza e della perfezione della natura è alla base delle ridotte dimensioni del bonsai. E questo si unisce alla tradizionale abilità manuale dei giapponesi e alla loro innata propensione alla cereazione e all’apprezzamento di ciò che è piccolo.
Di fatto, nel bonsai la natura viene idealizzata, portata all’estremo delle sue possibilità di perfezione. La perfezione che è bellezza, o la bellezza che è perfezione, dove la natura viene idealizzata secondo un ideale umano. Non è la natura naturale, ma piuttusto una natura astratta spinta all’estremo delle sue possibilità. Sicuramente si trova anche in natura la stessa bellezza, ma grazie alle sue ridotte dimensioni, la mano dell’uomo può intervenire a modificare e rendere perfetta la struttura della pianta. In natura, non esiste una perfezione che solo la mano dell’uomo può dare: la natura è ispiratrice della mano umana. Non si tratta di riproduzione in scala ridotta, ma piuttosto di rielaborazione e perfezionamento di un modello naturale, dove tutti idettagli devono essere curati, e soprattutto, essere relazionati in modo armonico tra di loro. I vari rami, il tronco e le foglie, i fiori e i frutti, sono tutti in mutua relazione e vengono elaborati in modo tale che esprimano un ideale di bellezza. La mano dell’uomo realizza il suo ideale attraverso la natura. Tuttavia, questo ideale non deve essere rappresentato in modo astratto, razionale, insomma “umano”, ma deve restare all’interno della natura. La naturalità della pianta è il limite insuperabile, così che l’intervento umano, benchè intenso, non si veda, non traspaia, o sebbene, evidente, non risalti come atto indipendente, autonomo dalla natura. Ogni intervento dev’essere riconducibile a una possibilità, seppur teorica della natura. Insomma deve poter esistere in natura.
Il bonsai è come un quadro paesaggistico, anche nelle dimensioni. Un quadro è una riproduzione in piccolo di una scena naturale interpretata dal pittore, cioè modificata secondo il suo ideale, la sua sensibilità e la sua idea di bellezza. Allo stesso modo è il bonsai. Se il bonsai fosse la riproduzione fedele della natura non sarebbe arte…. Ciò che lo rende arte è la possibilità di interpretazione del soggetto da parte dell’artista, che è colui che costruisce il bonsai. In altre parole, affinché il bonsai diventi arte, deve essere espressione dell’animo umano, deve rimandare alla soggettività, che è solo umana. Nel vedere il bonsai, leggo l’animo di chi lo ha costruito, di chi ha saputo esprimersi usando un elemento della natura per manifestare passione, forza, eleganza, sofferenza, capacità di resistere alle avversità, e così via.
Portare la natura più vicino a se stessi significa trasformarla da una natura che si vede a una natura che si “sente” interiormente.
L’arte è forse l’abilità di imitare la natura? Anche una fotografia che è una copia della realtà è arte quando il fotografo è capace di esprimersi attraverso la realtà. Lo stesso avviene nel bonsai, che non è arte quando è mera imitazione, ma lo diventa quando il bonsaista attraverso la natura della pianta giunge a esprimere i suoi sentimenti. Questo è un punto molto importante per il bonsai e significa che chi crea un bonsai deve farlo con lo scopo di esprimere i suoi sentimenti, o la propria visione della natura.
Il maestro Kunio Kobayashi, che qui tutti ben conioscono per la sua esperienza e grande competenza, esprime la bellezza dei bonsai con le seguenti parole: “la bellezza del bonsai è l’arte (geijutsu) comprensiva di fare un’opera perfetta, condensando la bellezza spaziale della natura unita alla bellezza del trascorrere del tempo. Credo che le parole che esprimono l’arte del bonsai sono le seguenti: eleganza (優雅), buon gusto (風趣), grazia (風韻), wabi e sabi (侘び寂) (rustico e antico), yūgen (幽玄) (profondo e sottile), misterioso (神秘))”
(盆栽の美は、自然空間の美を凝縮させ、なおかつ時間経過の美を加えつつ充実させていく総合芸術であり、優雅、風趣、風韻、侘び寂、幽玄、神秘といった言葉が盆栽芸術を表現するものと考えます)
Il maestro Kobayashi usa la parola “condensare” (gyōshuku): la bellezza spaziale della natura è condensata nel bonsai assieme al trascorrere del tempo. Io credo che la “condensazione” si ponga a un doppio livello: quello della condensazione dello spazio naturale nella dimensione, ma anche nella condensazione del tempo. Fare una pianta piccola non è sufficiente: restringere lo spazio dev’essere accompagnato dall’impressione della vetustà, cioè, creare un bonsai che non solo sia piccolo, ma che al tempo stesso, dia l’impressione di essere molto vecchio. E questa è la “condensazione del tempo.”
Alcune immagini di bonsai giapponesi nel tempo
…
Testo di Aldo Tollini